diritto
di abitazione è inidoneo ad essere oggetto di ipoteca
Not. Gianno Scaglioni, 02.01.2002, chiede:
Tizio, proprietario di un appartamento, muore.
Il coniuge rinunzia all'eredità; erede legittimo è
l'unico figlio Caio.
Pertanto ora l'unità immobiliare in questione
appartiene a Caio per la nuda proprietà e a Tizia per il diritto di abitazione
ex art. 40,c.c.
L’erede chiede un mutuo bancario offrendo garanzia ipotecaria l'appartamento
suddetto.
La Banca pretende in garanzia la piena proprietà.
Come posso soddisfare le pretese della Banca, nel modo più economico possibile,
in considerazione dell'esistenza del diritto di abitazione che come ben si sa
non può essere assoggettato a ipoteca?
Not.
Giampiero
Petteruti
Secondo Cass. 06.04.2000, n.
4329, in tema di successione necessaria, la disposizione di cui all'art. 540,
c. 2, c.c., determina un incremento quantitativo della quota contemplata in
favore del coniuge, in quanto i diritti di abitazione sulla casa adibita a
residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano (quindi, il loro
valore capitale) si sommano alla quota riservata al coniuge in proprietà (posto
che la norma stabilisce che i diritti di abitazione e di uso gravano, in primo
luogo, la disponibile, ciò significa che, come prima operazione si deve
calcolare la disponibile sul patrimonio relitto, ai sensi dell'art. 556, c.c.,
e, per conseguenza, determinare la quota di riserva.
Calcolata poi la quota del
coniuge nella successione necessaria, in base a quanto stabiliscono gli artt.
540, c. 1, 542 e 543, c. 1, c.c., alla quota di riserva così ricavata si devono
aggiungere i diritti di abitazione e di uso in concreto, il cui valore viene a
gravare la disponibile.
Se la disponibile non è
sufficiente, i diritti di abitazione e di uso gravano, anzitutto, sulla quota
di riserva del coniuge, che viene ad essere diminuita della misura
proporzionale a colmare l'incapienza della disponibile.
Se neppure la quota di
riserva del coniuge risulta sufficiente, i diritti di abitazione e di uso
gravano sulla riserva dei figli o degli altri legittimari).
L'attribuzione dei diritti
di abitazione e di uso costituisce un legato "ex lege" in favore del
coniuge, per cui questi può invocarne l'acquisto "ipso iure", ai
sensi dell'art. 649, c. 1, c.c., senza dover ricorrere all'azione di riduzione.
Per contro, non essendo ciò
previsto da nessuna norma in tema di successione legittima, non v'è ragione per
ritenere che alla quota intestata contemplata dagli artt. 581 e 582, c.c., si
aggiungano i diritti di abitazione e di uso.
Not. Alessandro Torroni, interviene:
Questa opinione a quanto mi consta è isolata.
Prevale nettamente la tesi per cui i diritti di
abitazione ed uso spettano al coniuge quale legittimario, e pertanto anche in
caso di successione legittima, che ha sempre un contenuto più ampio di quella
necessaria.
Inoltre tali diritti sono riconsciuti al coniuge
putativo (art. 584, c. 1) che non può certo ricevere più del coniuge legittimo
(cfr. per questi due argomenti Capozzi).
Questa tesi è stata fatta propria anche da C. Cost.,
ord. 05.05.1988, n. 527, in Rescigno, Successioni e donazioni, pag. 595,
a cui era stata devoluta la questione di legittimità costituzionale.
Not. Ugo Bechini, rileva:
Se ben intendo le questioni
sono due:
1.
se il diritto d'abitazione sussista, problema di cui hanno dibattuto i
Colleghi Petteruti e Torroni;
2.
se, ammesso pure che esista, cio' sia di impedimento ad una concessione
congiunta d'ipoteca, a valere sulla piena proprietà, problema su cui rinvio
allo studio CNN 22.06.1999, Est. Caccavale/Ruotolo, di cui unisco qui sotto un brano; (lo si trova anche su Notariato,
2001, pag. 210 ).
Il lavoro giunge alla
conclusione che l'operazione e' ben possibile dal punto di vista giuridico, ma
e' resa di fatto impercorribile dalla configurazione rigida della
modulistica ministeriale.
Credo che gli Autori abbiano
perfettamente ragione sia sul primo punto (non ci piove) che sul secondo:
cio' non toglie che l'esito complessivo sia straordinariamente
indigesto.
CNN 22.06.1999, studio, Est. Caccavale/Ruotolo
Il diritto di abitazione
nell’ipoteca
Deve
convenirsi che normalmente l’intrasferibilità di un diritto viene ad incidere
anche sulla valutazione del legislatore in ordine alla ipotecabilità del
medesimo.
La non assoggettabilità ad
ipoteca non è una conseguenza necessaria della inalienabilità, e in diversi
casi, pur essendo prevista l’intrasferibilità del diritto, non si esclude che
il diritto stesso possa essere ipotecato.
Tuttavia, qualora
l’intrasferibilità sia connessa, come nel nostro caso, alla natura del diritto,
e dunque all’esigenza di preservarne l’identità, che sarebbe invece compromessa
dalla circolazione del diritto, le medesime ragioni che valgono ad escluderne
la alienabilità assumono valore determinante anche al fine di escluderne la
assoggettabilità ad ipoteca.
E’ pacifico l’assunto secondo il quale il diritto di abitazione, come quello
d’uso e il diritto di servitù, non può essere oggetto di ipoteca in quanto non
è ricompreso nell’elencazione dell’art. 2810, c.c., né l’ipotecabilità di tale
diritto è prevista da leggi speciali: per dottrina unanime, infatti,
l’individuazione dei diritti e dei beni ipotecabili spetta soltanto alla legge,
per cui sono ipotecabili solo i diritti e i beni contemplati dall’art. 2810,
c.c. o considerati tali da leggi speciali.
E la inidoneità
dell’abitazione ad essere oggetto di ipoteca viene collegata in dottrina
proprio al carattere inalienabile del diritto (35).
Il punto consiste ora
nell’esaminare se le conclusioni cui si era pervenuti innanzi con riguardo alla
cedibilità congiunta del diritto di proprietà e del diritto di abitazione
possano riguardare in qualche modo anche la concessione di ipoteca.
In primo luogo occorre
segnalare l’incongruenza intercorrente tra l’affermazione della assoluta non
ipotecabilità del diritto in esame e la tesi, sostenuta dalla Suprema Corte,
della legittimità della cessione ove preceduta da un patto autorizzativo fra
proprietario e habitator.
A seguire tale impostazione
dovrebbe anche ammettersi, come ben si intende, che il diritto di abitazione
possa essere concesso in garanzia ipotecaria allorquando il proprietario vi
abbia preventivamente assentito o anche quando, avendone autorizzato
l’alienazione, abbia comunque assentito a che il diritto possa essere trasmesso
a terzi.
Qualora invece si ritenesse
di negare la legittimità del patto che autorizzi la cessione e, in generale, il
compimento di atti di disposizione del diritto in questione, resterebbe da
soffermare l’attenzione sull’ipotesi in cui, insieme, proprietario e habitator
concedano ipoteca a garanzia di un medesimo debito.
Coerentemente con l’opinione
espressa in ordine alla alienazione congiunta dei predetti diritti, anche ora
sembra si possa prospettare la conclusione della piena legittimità dell’atto di
disposizione al vaglio e della susseguente iscrizione che sulla sua base fosse
compiuta.
Si afferma in dottrina che, ove l’iscrizione per una stessa obbligazione sia
eseguita contro più contitolari di diritti reali insistenti sul cespite, - come
contro i diversi comproprietari del medesimo – , allora l’espropriazione di
quest’ultimo dovrà riguardare tutti i diritti – ovvero l’insieme delle quote di
comproprietà – su cui sia stata costituita l’ipoteca.
Se ciò è vero, ne consegue
anche che l’assegnatario del bene in nessun caso potrà subentrare
nell’originario diritto di abitazione, potendo egli solo conseguire la
proprietà assoluta del cespite, libera dal vincolo del diritto parziario, il
quale con l’assegnazione risulterà ormai estinto per confusione.
In definitiva la fattispecie in esame non sembrerebbe confliggere contro
nessuna delle istanze per le quali è esclusa l’ipotecabilità del diritto di
abitazione in quanto tale: non contro l’interesse del proprietario, il quale
partecipa con l’habitator alla concessione dell’ipoteca e dunque vi acconsente;
non, del pari, contro le esigenze di preservare, secondo lo schema legale ed
entro i limiti di questo, l’immutabilità sostanziale del diritto di abitazione,
che non viene infatti trasferito a terzi separatamente dalla proprietà.
Dovendosi individuare dunque
la ratio dell’esclusione del diritto di abitazione da quelli “capaci di
ipoteca” nella tutela delle medesime esigenze che sono alla base del divieto di
cessione di tale diritto, si profila come plausibile una interpretazione
restrittiva dell’art. 2810, c.c., che, nell’omettere di menzionare il diritto
di abitazione, intenderebbe soltanto escludere l’ipotecabilità del diritto di
abitazione in quanto tale e non anche la sua ipotecabilità congiuntamente al
diritto di proprietà.
A questo punto non può
omettersi dal rilevare che la conclusione qui auspicata incontra un ostacolo di
natura pratica difficilmente eludibile.
Come ben noto, la
meccanizzazione dei registri immobiliari ha alterato profondamente la struttura
della nota di trascrizione e di iscrizione: questa, da documento
originariamente redatto secondo uno schema libero, si è trasformato in un
modulo articolato in campi atti a ricevere essenzialmente locuzioni
prestabilite e precodificate nella normativa di riferimento.
In particolare, il quadro
relativo ai diritti oggetto della vicenda da pubblicizzare può essere
compilato, quanto alla natura dei diritti di cui si dispone, soltanto sulla
base della elencazione formulata nelle relative istruzioni ministeriali.
Ebbene, mentre l’abitazione
è ricompresa nella lista dei diritti che possono essere contemplati in sede di
trascrizione, diversamente il diritto in questione non appare nell’elenco dei
diritti deducibili nella nota di iscrizione.
Risulta evidente che tale
circostanza, - salvo il ricorso ad espedienti più o meno plausibili -, basta di
per sé ad impedire, al di là delle opzioni teoriche prescelte e con indubbio
nocumento per la circolazione della ricchezza, che il creditore possa
conseguire, ove il cespite cauzionale sia già gravato dal diritto di abitazione
e il titolare non intenda rinunciarvi, una garanzia ipotecaria assoluta e
pienamente soddisfacente, che assorba per intero l’utilità economica del bene.